Marta ha passato la vita all’insegna degli altri. La grave malattia della madre l’ha costretta fin da piccola a prendersi cura della famiglia. Tornava da scuola e cucinava per il padre e il fratellino, si occupava delle faccende domestiche, accudiva la madre, faceva i compiti e spesso non le rimaneva tempo per giocare. È cresciuta responsabile e coscienziosa, facendosi carico dei bisogni altrui con una particolare sensibilità nei confronti dei più deboli. Questo l’ha portata a scegliere di diventare infermiera per poter anche nel lavoro esercitare questa sua indole. Si è sposata, ha avuto due figli, ormai adolescenti, e anche tra le mura domestiche lei è il perno di tutto. Soddisfa tutte le richieste dei familiari, spesso anticipando i loro bisogni. È circondata da molti amici, e spesso è lei che organizza le cene, le gite e le serate in compagnia.
Tutto andava più o meno bene fino al primo attacco di panico.
Quando venne da me, il livello di ansia era molto elevato, faceva difficoltà a guidare in luoghi sconosciuti, non prendeva più l’autostrada (le gallerie la terrorizzavano) e in luoghi come il supermercato, la banca o la posta provava un senso di soffocamento che spesso la spingeva ad uscire.
Analizzando il significato di tutti questi sintomi, concordammo sul fatto che il carico del dedicarsi quasi totalmente agli altri era diventato troppo pesante, le mancava del tempo per sé, per prendersi cura del suo corpo e coltivare i suoi interessi.
La soluzione sembrava ovvia: cominciare ad ascoltare i bisogni personali dandogli la giusta priorità piuttosto che relegarli sempre dietro a quelli degli altri.
Per quanto ovvia, a Marta questa soluzione sembrava improponibile. Quando le chiesi il perché, rispose che non voleva cambiare la propria personalità, non voleva diventare un’egoista.
Dietro a questa risposta si cela una convinzione sul cambiamento erronea: se cambio significa che devo abbandonare il mio vecchio modo di essere per diventare l’esatto opposto. Se sono altruista diventerò egoista, se non riesco a dire di no dirò sempre di no, se non mi arrabbio mai mi arrabbierò sempre, e così via.
Se abbiamo in noi questa convinzione profonda sul cambiamento è naturale che, consciamente o inconsciamente, ci opporremo. Marta, ad esempio, aveva sviluppato la sua identità sull’altruismo, un’identità molto apprezzata da se stessa e dagli altri, ed è naturale che non voleva abbandonarla.
Per superare l’ansia e gli attacchi di panico, abbiamo dovuto lavorare prima di tutto sulla convinzione circa il cambiamento.
Quando l’aspetto che vogliamo cambiare rappresenta una risorsa, il cambiamento non è togliere aspetti positivi di sé e sostituirli con altri; il cambiamento è arricchire la propria personalità con nuove risorse, è aggiungere nella propria cassetta degli attrezzi un nuovo strumento per essere utilizzato nel contesto adeguato. Il problema infatti sussiste quando possiedo un solo strumento: se ho solo il martello, tratterò tutte le cose come chiodi.
Cambiare significa quindi migliorarsi, arricchirsi, dotare la nostra cassetta di nuovi attrezzi, ad esempio di un cacciavite, in modo che quando mi troverò di fronte ad una vite, potrò avvitarla con facilità.
Marta ha imparato a ritagliarsi del tempo per sé, ad ascoltare i propri bisogni e, in alcuni casi, metterli in cima alla lista delle priorità. Ha scoperto di poter dire no e di sentirsi comunque apprezzata e amata.
Come per magia, l’ansia l’ha abbandonata, e sta bene.