Marco ha paura. Ha grandi sogni, un talento artistico, un progetto concreto di andare all’estero per fare qualche mostra. Nel suo percorso terapeutico sta lavorando per assecondare questa parte creativa e originale che fin da piccolo lo ha fatto sentire diverso dalla media, questa parte di sé spesso relegata in secondo piano per far posto alle aspettative dei genitori e della società in genere di essere inquadrato, di avere un lavoro fisso, di essere un po’ come tutti gli altri. Assecondare questa parte significa avere coraggio, rompere gli schemi, credere in se stessi quando molti ti danno contro, investire nel proprio talento e “buttarsi”.
Qualche giorno fa mi racconta di questa vocina interiore che compare ogni volta che deve fare un passo verso il suo sogno, una vocina che dice “non ce la faccio” e che lo blocca e gli impedisce il cambiamento. Una sorta di sabotatore interno che gli impedisce di spiccare il volo.
Marco non è l’unico a possedere questa vocina interiore. Il “non ce la faccio” ci accompagna un po’ tutti, e spesso diventa l’ostacolo più ostico da superare per perseguire i nostri sogni. Cosa fare?
Mentre Marco raccontava, mi è comparsa in mente una scena con mio figlio Mattia di 15 mesi. Seduto in giardino, lo osservavo mentre tentava di salire gli scalini dello scivolo colorato. Era riuscito a superare i primi quattro e si era bloccato sull’ultimo, quello che gli avrebbe permesso di raggiungere, per la prima volta in vita sua, la cima. Tentava di alzare la gamba ma il ginocchio puntava sul bordo, non riusciva andare né avanti né indietro. Dopo qualche tentativo Mattia ha iniziato a frignare, quel pianto fastidioso di frustrazione, insopportabile, capace, a te genitore, di toccare quelle corde che ti portano a intervenire quanto prima pur di farlo smettere. Me ne stavo seduto comodo e mi seccava alzarmi. Una parte di me, arrabbiata, avrebbe voluto dirgli “ma che piangi, smettila”, un’altra parte andare lì in silenzio prenderlo di peso e metterlo per terra oppure in cima allo scivolo. Allo stesso tempo, per fortuna, mi sono anche chiesto quale poteva essere l’atteggiamento più costruttivo che potevo adottare per aiutare Mattia.
Così mi sono alzato e mi sono avvicinato allo scivolo. Mattia continuava a frignare nella stessa posizione. Non l’ho preso di peso, né mi sono arrabbiato per le sue lagne. Gli ho semplicemente detto “Dai, Mattia, ce la puoi fare. Io sono qui dietro, se cadi ti prendo io”. Non che lui capisse le mie parole, ma le emozioni, si sa, sono contagiose, e forse ha sentito la fiducia che in quel momento il padre gli dava. Fatto sta che Mattia ha smesso di frignare e ha ricominciato a provare, e finalmente, dopo qualche tentativo, ci è riuscito. Una volta seduto in cima ha fatto un gran sorriso, ha guardato lo scivolo davanti a sé e si è buttato felice.
Ora, di fronte a quel “non ce la faccio” abbiamo tre opzioni:
- Assecondarlo, dare ragione a quella parte di noi, lasciandoci andare al lamento e allo sconforto. Questo ci porta dritti all’immobilismo, alla staticità, alla rassegnazione e all’insicurezza. Tanto più non ci provo, tanto più non ci riuscirò e tanto più sentirò di non avere risorse. Una spirale discendente che ci risucchia e da cui può diventare sempre più difficile uscire.
- Arrabbiarci e sfidarlo. Può sembrare un buon atteggiamento e in parte lo è (sicuramente è migliore del primo). Non mi rassegno e utilizzo la rabbia per sfidare quella parte che pensa di non farcela. “Te lo faccio vedere io se non ce la faccio”. Il problema è che scoppia un conflitto interiore, una battaglia interna, tra la parte che sente di non farcela (e che tenterà di sabotare ogni tentativo) e la parte che vuole farcela. Questo conflitto succhia tantissime energie fino ad esaurirle.
- Rincuorare e manifestare fiducia. Sapendo che quella parte sfiduciata e insicura è una parte di noi, non possiamo prendercela con lei. Come se fosse un figlio possiamo al contrario ascoltarla e manifestare fiducia. Significa accoglierla, accettarla e allo stesso tempo farle sentire che ce la può fare e che noi siamo lì a sostenerla, anche in caso di fallimento. Insomma siamo parte della stessa squadra e abbiamo un obiettivo comune e condiviso: riuscirci o perlomeno mettere in campo tutte le risorse per farlo.
Buone scivolate a tutti!
👉 Esercizi e suggerimenti
Durata: 1 minuto.
Frequenza: al bisogno.
Obiettivo: superare l’ostacolo del “Non ce la faccio”.
Azione: ogni volta che senti in te la vocina che pronuncia la frase “non ce la faccio” (o simili, tipo: “non ce la posso fare”, “non ce la farò mai”, “è troppo per me” ecc.), fermati un istante e osserva il tipo di reazione automatica che si scatena. Se ti accorgi di assecondare questa parte o di arrabbiarti con lei o di avere un’altra reazione poco costruttiva, modificala.
Immagina la parte che pensa di non farcela come un bambino, magari un po’ lagnoso, che ha solo bisogno di incoraggiamento e fiducia. Rincuoralo, fai sentire la tua empatia, che comprendi il suo stato d’animo e che non c’è niente di male a sentirsi scoraggiato. Allo stesso tempo comunicagli fiducia, che ce la può fare, che ha risorse non utilizzate dentro di sé a cui attingere, che continuare a provare è la strada giusta, che può chiedere aiuto se non ce la fa da solo, e che, in caso non ce la facesse, non è la fine del mondo, sarai pronto ad accoglierlo e sostenerlo, comunque fiero del fatto di averci provato con il massimo impegno e che troverete insieme nuove sfide, magari più abbordabili, ma altrettanto gratificanti.
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